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Anche i ricchi piangono...ma non possono dirlo

  • Immagine del redattore: Psicologa Psicoterapeuta Federica Cozzi
    Psicologa Psicoterapeuta Federica Cozzi
  • 7 apr
  • Tempo di lettura: 3 min

Viviamo in una società che tende ad associare la ricchezza alla felicità. È un'associazione automatica, quasi infantile: se hai tutto ciò che vuoi, allora devi essere felice. Ma la realtà è molto più complessa, e spesso molto più silenziosa. I ricchi piangono. Ma raramente possono permettersi di dirlo. In questo articolo desidero esporre alcune delle sofferenze del “Primo Mondo”, affinché chi non ne fa parte possa allentare il suo giudizio svalutante e chi ne fa parte possa sentirsi compreso e legittimato al dolore.


Il peso invisibile del privilegio

Le persone economicamente privilegiate sono spesso viste come immuni alle difficoltà emotive. Questa convinzione sociale non solo è falsa, ma anche dannosa. Chi possiede denaro e status può sentirsi intrappolato in un'immagine ideale da mantenere, in un ruolo che non ammette fragilità. Il dolore diventa inconfessabile. E così si isola.


Studi hanno evidenziato che gli individui appartenenti a classi socioeconomiche elevate possono sperimentare tassi più alti di depressione, ansia e abuso di sostanze rispetto ad altri gruppi. Ad esempio, una ricerca pubblicata dall'American Psychological Association indica che gli adolescenti provenienti da famiglie benestanti presentano una maggiore incidenza di questi disturbi rispetto ai loro coetanei meno abbienti. ​


Solitudine dorata

La solitudine di chi “ha tutto” è spesso sottovalutata. Gli amici possono diventare opportunisti, i rapporti familiari complicati dal potere e dal denaro, e persino l’amore può essere contaminato dal sospetto. Questo porta molte persone benestanti a vivere relazioni superficiali o a dubitare profondamente della sincerità degli altri. Quando il valore personale viene confuso con quello patrimoniale, l’identità vacilla.​


Il dottor Paul Hokemeyer, terapeuta che lavora con individui ultra-ricchi, ha osservato che molti dei suoi clienti si sentono oggettificati e isolati a causa della loro ricchezza, portandoli a relazioni transazionali e sentimenti di delusione. ​


Il tabù del disagio emotivo nei “vincenti”

La nostra cultura premia il successo e la performance. In questo contesto, l’ammissione di una sofferenza emotiva da parte di chi ha “vinto” socialmente appare quasi come un tradimento. Come se sentire dolore fosse una mancanza di gratitudine o un fallimento personale. Ma la salute mentale non conosce reddito, titoli o conti in banca. È umana, e dunque universale.


La stigmatizzazione legata ai problemi di salute mentale può impedire alle persone di cercare aiuto, aggravando ulteriormente il loro stato. Secondo l'American Psychiatric Association, la stigmatizzazione e la discriminazione possono contribuire al peggioramento dei sintomi e ridurre la probabilità di ricevere un trattamento adeguato. 



Lo spazio sicuro della psicoterapia

È essenziale restituire dignità e spazio alla sofferenza di tutti, indipendentemente dallo status sociale. In terapia, ogni storia merita ascolto senza giudizio. Chi ha privilegi economici ha spesso bisogno di uno spazio neutro dove potersi raccontare senza paura di essere frainteso, ridicolizzato o sminuito.

Per questo motivo un setting che garantisca l’anonimato è particolarmente importante soprattutto all’inizio di un percorso di terapia. Nella mia pratica con persone “socialmente esposte” a causa del loro reddito, presto molta attenzione ad individuare il setting giusto: possiamo iniziare i colloqui online, prevedere sessioni un po’ più lunghe per evitare di incrociare altri utenti o addirittura effettuare la terapia a domicilio. Lo sguardo altrui non deve essere fonte di ostacolo al prendersi cura di sé.


Conclusione

“Anche i ricchi piangono” non è solo un vecchio titolo di telenovela, ma una verità psicologica che merita rispetto. Perché ogni essere umano, dietro le apparenze, porta con sé ferite invisibili. E tutti — proprio tutti — hanno diritto a poter dire: sto male,  ho bisogno di aiuto.


Se senti il bisogno di uno spazio di ascolto autentico dove parlare liberamente di te e di ciò che ti affligge contattami e troveremo insieme il tuo “posto sicuro”.



 
 
 

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